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Le inesattezze dei media " IL CASO DELLA BICICLETTA DI FAUSTO COPPI" [Risolto], Fortunato Cristiano - Grumo Nevano

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view post Posted on 31/1/2010, 16:13 by: adp




Eccovi un altra testimonianza, ma qual'è la verità ???
fonte: il mediano.it


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FAUSTO COPPI IN FUGA DALLA GUERRA. PARTENDO DA SOMMA VESUVIANA.
Categoria: Sport Data: 31/01/2010

Con il cinquantennale della morte del Campionissimo, si rievoca il falegname sommese che gli regalò una bici nel ’45: così il vincitore del Giro si rimise in sella dopo il fronte d’Africa. Il «milionario» gli dedica un quiz, ma ne sbaglia la provenienza.


Chi è il falegname di Somma Vesuviana che nel ’45 regalò una bicicletta a Fausto Coppi, permettendogli di riprendere gli allenamenti dopo la guerra? È un episodio avvolto in un’aura di leggenda, che di recente è stato ripescato dai biografi del Campionissimo e dai cronisti sportivi, in occasione del cinquantennale della morte di Coppi. Per qualcuno l’ignoto benefattore si chiama Gavino, per altri D’Avino, secondo alcune fonti sarebbe di Grumo Nevano piuttosto che di Somma.

Grazie a quel gesto prezioso, Coppi si rimise in sella dopo gli anni della guerra, dopo aver sperimentato i primi sintomi della malaria, il fronte d’Africa, la prigionia in Campania in un campo d’aviazione britannico. E riprese a girare l’Italia dissestata e ingombra di macerie, per ritrovare lo smalto del campione e ritrovare la famiglia di cui non sapeva più nulla.

«D’Avino, un falegname di Grumo Nevano, non avrebbe mai pensato che un suo nobile gesto lo avrebbe per sempre legato a...?». Questa è la domanda che Gerry Scotti ha formulato in una puntata di «Chi vuol essere milionario?» andata in onda la settimana scorsa. Il popolare quiz-show permette di fare ricorso a Google, ma è difficile trovare riferimenti esatti a questa vicenda mediante un motore di ricerca. Se anche la domanda avesse riportato correttamente Somma, come comune di provenienza del falegname, sarebbe stato difficile arrivare al nome di Fausto Coppi.

Scomparso nell’85, D’Avino è citato nella biografia di Coppi scritta da Gianni Brera. «Giuseppe Gavino», scrive in realtà Brera, ma è evidente che si tratta di un refuso, anche perché non c’è alcuna traccia del cognome “Gavino”, a Somma. Il grande giornalista sportivo, però, riporta esattamente la provenienza del benefattore. Brera scrive nell’81, vent’anni dopo la morte di Coppi, ma la testimonianza è di prima mano, raccolta direttamente dai ricordi del campione, molti anni prima, nel corso di un lungo colloquio tra i due.

Coppi aveva già vinto il suo primo Giro d’Italia, giovanissimo, nel ’40, ma dopo la sua partenza per il fronte d’Africa non si avevano più sue notizie, al punto che molti lo credevano morto. Fu Gino Palumbo, all’epoca giovane cronista sportivo, ad annunciare: Coppi è vivo, catturato dagli inglesi in Tunisia, e fa da attendente a un ufficiale della Raf, nella base che gli aviatori di Sua Maestà hanno allestito a Caserta, dopo lo sbarco alleato a Salerno. Palumbo lanciò un appello sulla carta stampata: date una bicicletta al campione, per permettergli di riprendere l’attività ciclistica. A rispondere fu il falegname sommese, all’epoca poco più che 30enne, appena sposato.

Giuseppe nutriva una passione divorante per il ciclismo, e d’altra parte gareggiava egli stesso nelle competizioni regionali. In quella Campania disastrata dell’immediato dopoguerra, che non conosceva ancora la tv, forse non tutti ricordavano il fragile gregario che nel ’40 aveva inaspettatamente chiuso il Giro in maglia rosa. Giuseppe conservava le foto del campione, e per di più il padre noleggiava bici ai contadini. Così il falegname arrivò a Caserta in sella a una Legnano: nell’Italia di «Ladri di biciclette», privarsi di una bici solida ed efficiente non era un gesto da poco.

All’epoca Coppi era uno dei tanti scampati della guerra, non ancora celebrato come star mondiale, ma poi «l’omino con le ruote» si sarebbe dimostrato riconoscente, negli anni dei trionfi, al punto da tenersi in contatto con il suo «mecenate» di quei giorni difficili. Tre dei figli di Giuseppe vivono oggi a Somma: Franco è elettricista, Nicola vigile urbano, Aniello operaio in pensione. Il più giovane, Angelo, è preside di un istituto comprensivo di Napoli. Proprio l’ultimo dei figli, in passato, è stato sentito da giornalisti e biografi del Campionissimo, e così ha potuto fornire la provenienza esatta di quel falegname finito negli annali del ciclismo.

Tanto che nell’ultima biografia, scritta da William Fotheringham (traduzione italiana “Un uomo solo”, edita da Piemme) e uscita in Italia per il cinquantennale della morte, si cita correttamente il «falegname di Somma Vesuviana». «Lì per lì mi parve di non capire», sono le parole di Coppi riportate dal giornalista inglese. «Poi mi commossi e lui, il falegname, si soffiò il naso nel vedermi così». «Due mesi dopo», scrive ancora Fotheringham, «come gesto di ringraziamento, Coppi avrebbe corso a Somma». Si riferiva forse a questo episodio, Gian Antonio Stella, quando poche settimane fa ha ricordato, sul Corriere della Sera, «quell’epica cavalcata che riportò alla vita il campione dopo tutti quegli anni rubati dalla guerra».

«Coppi», scrive Stella, «partì da Somma Vesuviana in sella alla sua bicicletta e la sera del giorno dopo era a casa, a Novi Ligure: 817 chilometri in meno di due giorni». Un episodio che i figli di Giuseppe D’Avino non ricordano, e d’altra parte solo Franco (classe ’42) era nato all’epoca dei fatti. Per i suoi diciott’anni, Coppi si era impegnato a regalargli una bicicletta, per ricambiare nel ’60 quell’antico debito del ’45. Ma non ci fu il tempo, perché Fausto, come tutti sanno, fu portato via il 2 gennaio dalla malaria, a soli 41 anni. «Mio padre e Coppi si tennero in contatto durante tutti quegli anni», racconta oggi Franco D’Avino. «Tanto che il campione ci venne a trovare alla fine di una tappa campana del Giro. Ma mio padre non ha voluto mai sfruttare quell’amicizia, tanto che non conservò neppure una foto con Coppi, né un cimelio».


Autore: Luigi Mosca
 
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15 replies since 28/1/2010, 16:13   2815 views
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